BARI - «Mamma, sei stata bravissima ». Giuseppina Lacarbonara ha appena finito il suo primo intervento da presidente della Associazione Antiracket di Bari appena nata. I suoi figli e il marito la baciano e l’abbracciano. Poco prima, seduta tra Tano Grasso, presidente onorario della Fai (Federazione Antiracket italiana) e Renato De Scisciolo, coordinatore regionale lì a sostenerla, ha raccontato la sua storia. Ad ascoltarla, tra gli altri, il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico, il Commissario straordinario del Governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, prefetto Santi Giuffrè, il prefetto vicario di Bari Biagio De Girolamo, il procuratore Giuseppe Volpe, al vicesindaco di Bari Marco Brandi. In sala i vertici provinciali delle forze dell’ordine e gli studenti dell’istituto alberghiero Perotti.
Quando Giuseppina si è allontanata giusto il tempo di scambiare due battute con i giornalisti, i figli e il marito le sono andati subito intorno. Le lacrime che in sala a stento è riuscita a trattenere per l’emozione, in questo momento si riaffacciano di nuovo. Del resto la commerciante barese è stata vittima del pizzo. E adesso preside l’asso - ciazione locale Antiracket. Lei sa cosa vuol dire sentirsi minacciati mentre stai lavorando.
«Spero di potere aiutare i tanti commercianti baresi che hanno vissuto o vivono la mia stessa situazione », dice. «Non ci vogliono atti eroici, occorre solo normalità», sostiene Bubbico. Eppure, di coraggio, Giuseppina, barese, di 52 anni, ne ha davvero molto.
«Hanno iniziato chiedendomi mille-duemila euro al mese - ricorda - poi sono arrivati a 10mila. Ho denunciato ciò che stavo subendo nel momento in cui ho capito che l’obiettivo era prendersi tutta la mia attività».
La sua attività è un negozio di ottica non lontano dal carcere dove poi è finito il suo presunto aguzzino. Un personaggio ritenuto dagli inquirenti affiliato al clan Parisi. Che in questo caso avrebbe agito fuori dalla roccaforte di Japigia. «Noi siamo originari del quel quartiere - racconta Giuseppina - diciamo che ci hanno seguito... Denaro in cambio di “sicurezza”. O altrimenti sarebbero stati guai per tutta la famiglia. Tutto è iniziato così cinque anni fa. Per tutelare me e i miei cari pagai. Con il passare del tempo ho eroso tutti i risparmi. Ad un certo punto mi sono rivolta all’Associazione Antiracket perché non ce la facevo più a reggere tutto quello che stavamo subendo».
Quell’uomo, dopo anni di carcere, adesso è libero. «Non ho paura».
La sua nuova vita è iniziata allora. Prima il confronto e l’aiuto dell’Associazione Antiracket. Poi la denuncia, i processi, le sentenze. E, dopo un anno di lavori preparatori, la costituzione dell’associazione barese appena nata e che lei presiede. «Chi meglio di Giuseppina», dice Grasso. Molto rumore per far sì che tutti sappiano. Perché chi resta solo potrebbe non farcela, restando isolato.
Toccante il racconto del prefetto viacrio di Bari De Girolamo. «Un mio amico imprenditore due anni fa si è rivolto a me per avere aiuto. Un giorno non ce l’ha fatta e si è tolto la vita. Non deve più ripetersi». Su 17 domande presentate da imprenditori baresi in Prefettura per ottenere una tutela, sei sono state quelle accolte. Un appello agli imprenditori e ai commercianti del territorio a denunciare minacce e richieste estorsive è arrivato anche dal procuratore di Bari, Giuseppe Volpe, che ha definito le associazioni antiracket come una sorta di «ausiliario di polizia giudiziaria, il braccio destro della magistratura», ma «per avviare indagini - ha sottolineato - sono necessarie le denunce » . «Non è mai accaduto - ha detto Grasso - che una vittima sia stata lasciata sola dopo aver denunciato. Le associazioni antiracket esistono per svelare le vittime nascoste, consentire loro di trovare il coraggio di denunciare e aiutarle ad interloquire con le istituzioni». Giuseppina e la sua associazione è il nuovo referente per le vittime baresi del pizzo.